Uno dei temi ricorrenti in questo periodo è che le aziende non trovano personale. E’ vero.

E’ una difficoltà anche per quelle Aziende che sono consapevoli di dover mettere in campo più risorse ed essere più attrattive.

La mia interpretazione è che sia un passaggio ciclico, più articolato e strutturato dei precedenti, ma pur sempre un ricorso storico  in cui si inseriscono vari elementi. Per esempio qui trova accoglimento la cosiddetta “Great Resignation”,  ovvero il desiderio di cambiare vita soprattutto dopo il biennio pandemico, che ha generato una certa massa di dimissioni. Poi ci sono i lavoratori della generazione Z, ovvero i nativi digitali che si rapportano al lavoro in modo diverso rispetto alle generazioni precedenti, e che guardano a priorità di qualità della vita che si collocano spesso fuori dal luogo stesso dove svolgono la propria attività lavorativa. E poi esiste sempre la quota di coloro che lecitamente hanno il desiderio di migliorare la propria condizione.

Per scelta non intendo considerare il reddito di cittadinanza come variabile di questa analisi e provo a fare delle considerazioni quando il mio ruolo era quello di candidato a nuovi posti di lavoro.

Cosa valutavo?

  • Come primo elemento i contenuti della nuova prospettiva lavorativa, il progetto “azienda” e ovviamente le mie motivazioni a livello soggettivo. A parità di opportunità includevo la valutazione della proposta economica ma non necessariamente sceglievo quella migliore.
  • Nella prima azienda dove ho lavorato, iniziando in magazzino per pagarmi gli studi universitari e poi in amministrazione, dopo due anni di full time avevo chiesto di fare formazione. La risposta, un pò infastidita devo dire, era stata che la formazione era lavorare. Se volevano essere più eleganti avrebbero potuto anche parlare di formazione “on the job” ed inserendo anche qualche argomento in prospettiva per una crescita ma così non è stato. Risultato: ho cambiato lavoro andando a fare il controller per un gruppo alberghiero dove il disagio degli spostamenti era alto, le relazioni andavano costruite da zero soprattutto per gli aspetti di stagionalità, le competenze andavano conquistate; ma l’ho fatto. Il mio Direttore veniva dal Gruppo Ferruzzi e tuttora, dopo trent’anni, siamo amici e in contatto.
  • Non è stata l’unica volta che ho cambiato perché ero guidato comunque da una  “certa fame”, ma ho anche sbagliato. Ci fu una volta in cui, dopo un paio di anni, ero stanco di fare avanti e indietro dalla Toscana come coordinatore delle attività amministrative di un gruppo siderurgico. Non che mi sia pentito di dove sono andato dopo, ma se prima di dimettermi avessi richiesto un confronto avrei scoperto che il mio Dirigente era contento e c’erano dei progetti su di me. Però nessuno dei due ha parlato e non ci siamo confrontati in tempo altrimenti la mia esperienza sarebbe durata sicuramente di più. Colpa mia perché era una azienda di grandi dimensioni di tipo padronale ma con una importante quota manageriale e avrei dovuto utilizzare l’apertura al confronto e al dialogo che non mancava.
  • Certamente anche la retribuzione ha sempre contato, sarei ipocrita ad affermare il contrario ma non era la variabile più importante se si partiva da un livello adeguato. Certo quando sei giovane sei più portato ad accettare di “investire su te stesso” ma, poi ti accorgi che è talmente nel dna che non avevo bisogno di sentirtelo dire ad ogni nuovo colloquio perché altrimenti inizia a suonare con una tonalità diversa, negativa.

Oggi credo che le aziende debbano dotarsi di un mind set che si appoggia su tre tematiche: COSA PROPONGO, COME VALUTO, COME COINVOLGO

Indipendentemente dalla capacità di una azienda di essere o meno attrattiva, valgono queste riflessioni:

COSA PROPONGO: ho un progetto chiaro? So cosa cercare? Sto selezionando per fare cosa? Ho chiare anche le soft skills che cerco nel mio candidato? Queste spesso risultano anche più importanti delle specifiche competenze tecniche.

COME VALUTO: da qualunque canali mi arrivi un cv, anche il passaparola, come valuto chi è seduto davanti a me? E una volta assunto come valuto il suo contributo alla azienda e il suo percorso? Ho strumenti di misurazione? KPI condivisi per gli obiettivi? Sono in grado anche di proporre la partecipazione al risultato di esercizio ai miei dipendenti?

Competence before confidence: competenze prima della fiducia

COME COINVOLGO: ho un progetto Azienda? So esprimere le variabili di attrattività della mia azienda? Quanto contano le tematiche ESG di sostenibilità? Sono veramente impegnato nel confronto o sto solo usando dei neologismi e delle tematiche “di moda”? La poca sincerità e coerenza è uno dei temi di allontanamento per la generazione Z.

Se in una azienda si vive male, state certi che “la voce gira” e il continuo turn over (“continua ad andare via gente”) porterà a difficoltà sia nel costruire percorsi di valore con i dipendenti sia a chi si occupa della selezione. Non è infrequente constatare che basta il nome della azienda per allontanare l’interesse dei candidati e se poi riusciamo a convincerli con la sola componente economica, stiamo certi che ne avremo altri che se ne andranno in quanto non si sentiranno valorizzati.